mercoledì 29 febbraio 2012

I colori del cambiamento: storie di donne che hanno vinto la sfida

C'è chi ha trovato il suo angolo di mondo nella naturopatia, chi nella bigiotteria, chi nell'ecologia. Tutte hanno trovato il loro angolo di mondo cavalcando il coraggio di un cambiamento.
A tessere il filo di queste storie in un pomeriggio di racconti di vita vissuta, con interventi di esperti, è Arpège, un'associazione culturale il cui scopo principale è sviluppare e diffondere la cultura nelle sue varie forme, anche attraverso scambi culturali, in Italia e all'estero, nonché di svolgere attività ricreative e di intrattenimento.
"I colori del cambiamento. Storie di donne" è il titolo dell'incontro organizzato in due date, il 16 e il 30 marzo prossimi,  nella sede dell'Archivio storico della città di Torino, via Barbaroux (angolo via Stampatori) dalle 16 e 30 alle 19 e 30. Due pomeriggi che avranno come protagoniste storie di cambiamenti profondi, vissuti da donne che racconteranno la determinazione e il sacrificio con il quale hanno raggiunto l'obiettivo di riappropriarsi del loro tempo.
Tiziana Pia, agronomo appassionato di musica e cultura, presidente e cofondatrice dell'associazione, racconta come si è sviuppata l'idea dell'evento: "Tutto è nato - racconta - quando ho iniziato a pensare a come aiutare una mia amica che aveva fatto una scelta di vita radicale: un divorzio, aveva appena cambia lavoro, due figli di 9 e 10 anni. Oggi fa della bigiotteria d'artista. Mi chiedevo cosa avrei potuto fare per aiutarla. Pensavo che una delle strade da percorrere poteva essere raccontare la sua storia. Così, girando, ho trovato altre storie simili, mi rendevo conto di quanto questo fenomeno fosse diffuso. Tutte le donne che ho incontrato hanno fatto un percorso interiore e hanno meditato moltissimo, arrivando alla fine a seguire il loro talento. Il loro cambiamento interiore si è manifestato alla fine anche nella loro professione". Una di queste donne è Elena: "Perché fai collane e non pizze - le ho chiesto un giorno -? Perché mi piace fare collane, mi ha risposto. Le ho detto: bene, questo è il tuo talento. Il taglio che abbiamo dato all'incontro è proprio questo: dimostrare come si possa cambiare senza dover andare a Copacabana, tirando fuori un talento di cui spesso dimentichiamo persino l'esistenza". Quattro storie, quatto cambiamenti che si snoderanno nel corso dei due incontri organizzati dall'associazione Arpège ai quali parteciperanno anche una pedagogista clinica e una consulente filosofica (il 16), due psicologhe-psicoterapeute (il 30). L'iscrizione è gratuita.


lunedì 27 febbraio 2012

Babbo Gastone e la scusa del secolo: “Io sono un teorico”

Se rinascendo deciderò di rifarlo, di rilanciarmi nel tunnel del matrimonio (magari alla fine vedrò la luce, eh!) sarà solo dopo aver scoperto di essere l’altra metà di un idraulico, di un gommista, di un elettricista. Insomma, l’altra metà di Bob l’Aggiustatutto.
E invece a me, in questa vita, è toccato un TEORICO.

“Che vuoi da me, io sono un teorico” è la risposta che Gastone mi propina ogni volta che si sente messo all’angolo.


Dialogo tipo di una mamma di due figli con un marito teorico:

Io: Il Topo biondo ha fatto la cacca, ma non senti la puzza? Va cambiato!
G: ..... . (silenzio)
Io: Eddai, gli si sarà arrossato il culetto, ma possibile che non te ne sei accorto?
G: ....... . (silenzio)
Io: Non è che te lo posso lasciare solo dopo che ha fatto la cacca!
G: ..... (silenzio)
La Nanetta: babbooooooooo, ho fatto la cacca! Vieni?
G in stato catatonico.
Io: ma non senti, la Nanetta ha fatto la cacca, ti chiama!
G: ..... . (silenzio)
Io: Oddio, si sono fulminati i faretti del salone. Riesci a cambiarli?
G: .... . (silenzio)
Io: Dalla lavatrice fuoriesce uno strano odore, non è che ti va di pulire il filtro?
G: ?
La Nanetta: babbo, mi dai i vestiti?
G: sì amore, dove sono?
Io: sono tre anni che li ripongo nello stesso cassetto.
G: ah. Quale?
La Nanetta: babbo, mi prendi le scarpe?
G: certo amore, dove sono?
Io: da tre anni nello stesso posto a due palmi di mano dai vestiti.
G: ah.
Gastone fa la doccia: “Dov’è l’asciugacapelli? E la spazzola?”
Io: nello stesso posto dov’era ieri, e ieri l’altro, e il giorno prima ancora...
Gastone: e vabè, ma io sono un teorico, lo sai che devo pensare!

domenica 26 febbraio 2012

Tre donne e un'idea originale: il Mommy Cafè

Mamme, quante volte vi è venuta voglia di andarvene in giro, o a prendervi un caffè con le amiche ma sentendovi troppo ingombranti (passeggino, borse, biberon da tirare fuori), alla fine avete desistito?
Che fareste se esistesse un posto tagliato su misura per voi, tipo un Mommy Cafè?

A rendere il progetto reale ci hanno pensato a Zanè, in provincia di Vicenza, Silvia, Nicole e Federica, tre donne, non ancora mamme, tra i 26 e i 35 anni, di formazioni diverse e interessi diversi che lavorano attualmente nel sociale e nella comunicazione. Sono le tre socie di Threef, un attivatore sociale che costruisce relazioni creative in modo originale e dinamico tra le persone.

Da mamma sono contenta di ospitarle sul mio blog per far raccontare loro il progetto al quale daranno il via il prossimo 7 marzo.


COME NASCE L'IDEA 
"Parlando con mamme nostre amiche - raccontano Silvia, Federica e Nicole - abbiamo scoperto che molte di loro avevano l'esigenza di un posto dove ritrovarsi, non sapevano cosa fare o dove trovare informazioni. Abbiamo scoperto che in America e soprattutto nei Paesi scandinavi esistono alcuni luoghi di incontro e abbiamo pensato di riproporre qualcosa di simile anche da noi, adattandolo ovviamente alle esigenze e al nostro territorio che è comunque fatto di piccoli paesi di provincia, non di grandi città, e di pochi servizi. Volevamo quindi proporre una sorta di filò contemporaneo, seguendo il concetto di "pink networking", dove mamme con bambini di diverse età e diverse esperienze potessero condividere dubbi, domande ma anche momenti piacevoli con i loro bambini e con altre mamme e donne".

CHE COS'E' IL MOMMY CAFE'
"Il progetto intanto parte in via sperimentale in collaborazione con un comune della zona che ha sposato il progetto, in attesa di una nostra sede. Per tre mesi, da marzo a maggio, nelle mattinate di mercoledì e venerdì, a partire dalle 9.30, in alcuni locali della biblioteca civica di Zanè verrà appunto allestito il Mommy Cafè, il caffè delle mamme. Uno spazio accogliente e condiviso, con personale qualificato, dove sarà possibile incontrarsi, chiacchierare e sorseggiare qualcosa di caldo ma anche partecipare ad eventi e attività su misura. Nel Mommy Cafè si alterneranno momenti di condivisione e di socializzazione accompagnati da una di noi, Silvia,  pedagogista clinico, e da una psicoterapeuta tra l'altro esperta nel rapporto di coppia, e momenti a tema con attività specifiche: dal knit cafè alla pet therapy, alla ginnastica per mamme o con il passeggino, yoga e incontri con esperti".

COS'E' THREEF
"Threef è un'associazione di promozione sociale gestita da noi tre. Questo è uno dei progetti che abbiamo sviluppato nell'ambito delle attività legate alla famiglia: facciamo infatti anche attività per bambini e prossimamente partiranno anche alcuni progetti rivolti ai papà".

PRONTI, VIA!

Il Mommy Cafè inaugura il 7 Marzo alle ore 9.30 presso la biblioteca civica di Zanè, provincia di Vicenza. Il sito dell'associazione dove è possibile trovare anche la locandina del Caffè è www.threef.it, l'evento si trova anche su facebook mentre la pagina facebook di Threef la trovate ciccando qui. A breve nel sito ci sarà anche il programma dettagliato dei tre mesi.

IL FUTURO DEL MOMMY CAFE'
"Abbiamo notato molto interesse - concludono Silvia, Federica e Nicole - e curiosità verso questa iniziativa, visto che risponde ad un'esigenza precisa. Ci crediamo molto proprio per questo. Essendo una cosa nuova e proposta per la prima volta non sappiamo cosa aspettarci e se il prgoetto verrà capito in pieno, ma il fatto che un comune abbia deciso di appoggiarci ci dà un riscontro positivo e ci dice quanto sia valida quest'idea. Già solo parlandone per esempio all'interno della community di Withandwithin abbiamo avuto feedback positivi, quindi incrociamo le dita! La nostra idea, comunque, al di là di questi primi appuntamenti è di implementare il Caffè con l'intenzione di lavorare su due livelli: da una parte sensibilizzando il territorio sulle tematiche della donna, dall'altra creando vere e proprie partnership. Inoltre vorremmo creare un database con tutte le informazioni utili in zona per mamme, bambini e famiglie, come per esempio dove trovare luoghi pubblici attrezzati con fasciatoi. Ma per far questo puntiamo molto sull'idea di fare rete".

martedì 21 febbraio 2012

Babbo Gastone e lo stress da multitasking

Gastone ha un difetto. Un enorme difetto. Soffre di paranoia da multitasking. Non so se la patologia sia già nota agli esperti. In caso contrario terapisti di tutto il mondo fate tesoro di questo post perché sto per condurvi in un mondo nuovo (nel quale, ahimè, sono finita per caso!).

Il soggetto tipo Gastone affetto da paranoia da multitasking non solo mal sopporta di fare due o tre cose contemporaneamente, somatizza il panico da multitasking se anche solo il pensiero sfiora l’ipotesi che possa trovarsi in una situazione simile.

Passo all’esempio principe.

Ore 12. Fuori piove. Gastone è andato al lavoro a piedi e senza ombrello (voleva fare il macho ma l’intensificarsi della precipitazione lo ha fatto desistere dall’intento). La Nanetta a breve uscirà dall’asilo. Il Topo biondo sta per mangiare. Alle 14 io ho una visita medica. Gastone - già tribolante al pensiero che lui non sarebbe in grado di mettere in fila le azioni di cui mi sta per chiedere di farmi carico - chiama:
G. “Piove, mi sa che non riesco a tornare per pranzo”.
Io: “Come non riesci? Alle 14 ho un impegno, lo sai”. Lui lo sa.
G. “E allora mi sa che devi venirmi a prendere!”.
E certo. “Va bene”. Chiudo.
Sarà che la natura mette da sola le toppe ai buchi che fa, il Topo biondo ingurgita la pappa in men che non si dica. Ore 12.45 parto alla volta di Gastone. Che, hai visto mai!, aspetta in ufficio che io squilli (!) per uscire. Esce. Ore 13. Partiamo alla volta dell’asilo. Segue discussione su uno specchietto di auto in sosta nemmeno sfiorato, su dove parcheggiare davanti all’asilo. Ore 13.15 la Nanetta è in macchina, riparto alla volta di casa dove scaricherò i tre e mi fionderò al mio appuntamento. Piove a dirotto. Ore 13.40 (evviva le piccole città!) sono sotto casa.
“Che per caso c’è qualcosa da mangiare?”, mi chiede. Lo avrei strozzato. “NO!”, rispondo, aggiungendo: “il Topo biondo va spogliato, ha addosso vestiti pesanti. Cambialo”.
Ore 14.50 torno a casa. Mi si para davanti la seguente scena: la Nanetta danzante che ha appena finito di fare abbondante merenda. Il Topo biondo vestito come l’avevo lasciato. Gastone quasi digiuno e con la faccia di chi ha appena scalato una montagna in pieno calo di zuccheri.

Io. “Ma, scusa, perché non lo hai spogliato? E perché non hai mangiato?”
“Hai presente quante cose ho avuto da fare in questa ora che non ci sei stata?”

Cari Maya, se davvero il mondo deve finire e da qualche parte ricominciare daccapo, vi prego, fate in modo che io rinasca donna!

Bimbo mio devi cavartela da solo!

Scritto da Sole Ippocampo

Oggi riflettevo su quanto sia importante insegnare ai nostri figli a difendersi da soli. Qualche giorno fa Ricciolina è tornata da scuola arrabbiata: la maestra l'aveva ripresa perché disturbava. Lei ha somatizzato la cosa in modo negativo perché in realtà non era lei a disturbare, aveva solo reagito ad una provocazione. Così mi ha chiesto di andare a scuola a parlare con la maestra. In realtà non era accaduto nulla di grave anche perché la maestra non mi aveva mandato alcuna comunicazione, anzi si è sempre detta molto contenta del comportamento di mia figlia in classe. Quando è tornata a casa dopo il rimprovero Ricciolina cercava conforto e di capire in che cosa aveva sbagliato. Era successo che un suo amichetto disturbava lei e la sua compagna facendo dei dispetti come capita tra bambini, lei ha reagito alla provocazione rispondendo allo stesso modo, mentre la sua amichetta di banco è rimasta indifferrente alla provocazione continuando a svolgere il suo compito. La maestra girandosi ha visto quello che stava succedendo, il suo compagno di classe si è subito difeso dicendo che era colpa di Ricciolina, lei invece di spiegare com'erano andate le cose è stata zitta. A casa poi abbiamo analizzato l'accaduto e le ho spiegato che lei ha sbagliato a reagire alla provocazione, doveva restare indiferente come ha fatto la sua compagna in modo che il suo amichetto la smettesse o perlomeno la maestra vedesse che era lui a disturbare. Le ho spiegato che quando accadono episodi  simili non deve rimanere zitta per educazione nei confronti della maestra prendendosi la colpa, ma con tranquillità deve spiegare cosa è successo dicendo sempre la verità. Da quest'episodio ho preso spunto per spiegare a Ricciolina che nella vita non ci sono sempre mamma e papà che possono correre in suo aiuto, bisogna imparare a difendersi da soli per far sì che cresciamo più forti. La domanda che vi rivolgo è: secondo voi è giusto che i genitori di oggi giustifichino e difendano sempre i propi figli, correndo in soccorso in ogni momento della vita? Basta guardarsi intorno per rendersi conto che molte mamme rendono tragica anche una banale caduta e un ginocchio sbucciato.  Io sono del parere che dalle cadute si impara invece a rialzarsi.

domenica 19 febbraio 2012

Latte in polvere bio: poco costoso ma anche poco famoso

Ma i nostri figli lo stomaco ce l’hanno speciale? E il culetto? No perché non si spiega altrimenti perché il latte in polvere in Italia debba essere il più caro d’Europa e lo stesso pappe e pannolini. Un dato che non è saltato agli occhi solo dei migliaia di mamme e papà se addirittura l’Antitrust, mossa dietro esposto del ministro della famiglia Andrea Riccardi, ha lanciato l’allarme prezzi. Tra pannolini, pappe, latte, scaldabiberon, scaldapappe e alimenti speciali  una famiglia arriva a spendere anche 13.500 euro l’anno (dati Federconsumatori), considerati gli aumenti.
E allora che si fa, mentre aspettiamo che gli sos si trasformino in interventi decisivi e salva famiglie dal tracollo?
Noi abbiamo adottato il sistema ‘scegli da te’. Almeno per il latte in polvere. Esistono infatti alcune marche di latte che nessun pediatra vi consiglierà mai perché non pubblicizzate dagli informatori farmaceutici e che costano la metà di quelle che vanno per la maggiore. Una di queste è il Neolatte. Lo abbiamo scoperto grazie a un’amica che lo aveva usato, e con ottimi risultati, con la sua bimba, che peraltro lo ha assunto da appena nata in sostituzione di quello materno. E’ biologico, si vende in farmacia e rispetta - come è obbligatorio che sia - nella composizione la ristrettissima normativa della Comunità europea. Il Neolatte è stato il primo a fare ingresso in Italia a prezzi concorrenziali a partire dal 2005, mettendo altre aziende nelle condizioni di calare i prezzi. L’altra marca di latte in polvere bio a prezzi altrettanto concorrenziali è la tedesca Hipp. E anche in questo caso difficile che ve lo sentirete consigliare. I miei figli sono stati allattati, quando il mio latte non bastava più, entrambi con latte in polvere bio e poco costoso (prodotti che peraltro in altri Paesi europei sono tra i più utilizzati). Sono cresciuti bene e, vi assicuro, non hanno patito la fame.
La scelta non è stata dovuta solo a una questione di risparmio ma anche di desiderio di propendere verso un prodotto biologico e non necessariamente ‘ultrarricchito’, come accade per molte altre marche. Da un po’ ha fatto ingresso sugli scaffali anche il latte in polvere Coop, anche questo a prezzi più bassi rispetto agli altri.
Dunque, la possibilità di scegliere c’è. Basta fuggire da stereotipi e grandi marche.

Nessuna delle marche citate sponsorizza in alcun modo questo post.

venerdì 17 febbraio 2012

Babbo Gastone fa la spesa: colazione per un esercito

Gastone è l’uomo della spesa. Nel senso che è nato per fare la spesa. Io non amo andare a fare la spesa con Gastone esattamente quanto generalmente i maschi non amano seguire le donne quando escono a fare shopping. Gastone, infatti, mette nella scelta dei prodotti la stessa attenzione minuziosa con cui una donna generalmente sceglie un gioiello o un paio di scarpe. La suddetta gira per tutti i negozi possibili prima di scegliere, allo stesso modo Gastone passa in rassegna TUTTE  le etichette dei prodotti che deve comprare prima di metterli nel carrello. Con la diretta conseguenza che arrivati a metà della spesa la mia pelle inizia un processo di desquamazione irreversibile.

Dunque, quando Gastone torna a casa dal supermercato accade quanto segue.

1. la credenza scoppia di cereali, muesli, marmellate e tutto quello che di più genuino (senza conservanti, coloranti, additivi, spesso anche senza ingredienti!) possa esserci in commercio. Le credenze dell’esercito italiano sono generalmente più sprovviste delle nostre.
2. ode alle arance. Mia figlia l’ha capito subito: mamma, babbo mangia tante, tante arance! Eh, già, piccola mia. Quando vedrai che svuoteremo l’armadio dei vestiti per fare posto alle arance vorrà dire che babbo avrà iniziato a mangiare TROPPE TROPPE arance.
3. semmai arrivasse la carestia ci troverebbe preparati. Avremmo tante di quelle minestrine di legumi da sopravvivere noi, i  nostri figli, i loro figli e i loro nipoti. Ah, chiamano i fagioli la carne dei poveri, Tant’è: con la crisi che c’è noi siamo previdenti!
4. dicono che l’Italia sia divisa in due: quella che mangia parmigiano e quella che mangia mozzarelle. Gastone viene dall’Italia del parmigiano, io da quella delle mozzarelle. Ma siccome nel mio frigo è il parmigiano di Gastone ad avere sempre la meglio mi sono abituata all’uso. Non sarà la carenza di calcio ad atterrarci da vecchi!


Confido nella capacità di Gastone di comperare sempre i prodotti migliori. So che arriverà il giorno in cui mi porterà a casa una nuova linea di prodotti SN, senza niente, tanto per esser sicuri.

17.2.2012

mercoledì 15 febbraio 2012

Ma che musica, bambini!

Alla Nanetta piace Bennato. Anzi, di più: con La fata di Bennato è arrivato il primo momento di riflessione sdraiata sul divano. Della serie: “Mamma, lasciami stare e non mi guardare!”. Capito? E’ successo due giorni fa quando ha chiesto di sentire uno dei suoi cd preferiti, un cofanetto di 6 cd con il meglio di Bennato. Mangiafuoco e La fata, domenica scorsa, sono andati a ruota per circa mezz’ora. Con la sua doudou tra le mani si è messa lì a parlottare da sola con l’unica esigenza di non essere interrotta per nessun motivo al mondo.
La Nanetta, d’altronde, presa per mano da babbo Gastone, ha iniziato ad affinare l’orecchio da piccina. Così siamo arrivati a tre anni con le seguenti preferenze musicali: Evviva Vivi (Ivan Graziani; e voglio ben dire, è il nome della sua mamma!), Sul cucuzzolo (Rita Pavone), L’orologio (Vinicius De Moraes), Samarcanda (Roberto Vecchioni), Ci vuole un fiore (Sergio Endrigo), Victoria (The Kinks). L’ispirazione al ballo, poi, gliel’hanno data da molto piccina Mory Kanté e il Danubio blu di Strauss. Musica africana o musica classica? Per lei non fa nessuna differenza, le ‘sente' entrambe.
Che i bimbi non debbano ascoltare solo canzoni dello Zecchino d’oro non è una scoperta mia. Tutt’altro. A parte le migliaia di mamme che ci hanno pensato prima di me, invito a leggere la Music Learning Theory di Edwin E. Gordon dalla quale è scaturito anche il cd molto carino “Ma che musica”, a cura di Andrea Apostoli, con illustrazioni di Alexandra Dufey, una raccolta di brani di musica classica e jazz da ascoltare e da guardare per bambini da 0 a 6 anni. Secondo Gordon, infatti, (cito l’introduzione del cd), “è fondamentale per il bambino poter ascoltare musica di qualità durante i primi anni della vita del bambino. E’ proprio grazie a questo ascolto precoce che egli potrà successivamente capire, dunque apprezzare, generi musicali generalmente inaccessibili a molti e crearsi un vero e proprio vocabolario musicale che gli potrà essere anche tanto utile per cantare o per suonare uno strumento”. Dunque, buona musica bambini!

martedì 14 febbraio 2012

Withandwithin: dove le idee delle donne fanno casino!


Si entra in punta di piedi. E quando sei dentro si fa casino. Conoscete un posto più figo di questo? 
Per casino intendo il rumore delle idee che trafficano veloci. Le centinaia di caffettiere che bollono sul fuoco. I bimbi che urlano sotto al tavolo. Mariti, fidanzati, compagni che a un certo punto irrompono: “Uelà, che c’è per cena?”. Nelle stanze di Withandwithin c’è tutto questo: parole che viaggiano sui computer, idee che nascono, la speranza e la voglia di nuove occasioni che crescono. Mentre dietro, al di là degli schermi, scorrono vite all’impazzata. Vite di donne che in un sito come quello creato da Paola Innocenti non ci mettono solo opinioni ma anche del tempo. E il tempo, in questo spazio virtuale, sembra tornato di moda.
Paola è una mamma quarantenne che a un certo punto della vita ha detto quello che migliaia di donne come lei si ripetono ogni giorno: che fa una che vuole stare a casa con i suoi bambini e allo stesso tempo lavorare? Solo che mentre molte di noi se lo stanno chiedendo ancora lei la risposta se l’è data davvero. Mette in rete tutte le donne che sono messe come lei, come me, come voi. E crea un portale Internet dove chi si iscrive si prende la briga di mettere a disposizione le sue unità di tempo. In un mondo dove tutto scorre talmente veloce che nemmeno ti accorgi più di che cosa siano  i minuti, in Withandwithin il tempo torna ad avere un valore.
C’è chi offre due ore di tempo per accudire i bambini, chi per dare ripetizioni, chi per dare consigli su come arredare la casa, sviluppare un sito, rilassarsi, mangiare bio etc... .
Si dà grande spazio alla creatività: hai un’idea? Su Withandwithin devi metterla in vetrina. Le lettrici, spettatrici, possibili acquirenti o critiche del tuo progetto sono lì, a un clic da te. Si guadagna, si condivide, si scambia. E si crea.
Nascono gruppi sui più disparati argomenti, compreso su 'Come sbarazzarsi dei mariti in dieci semplici step’.


lunedì 13 febbraio 2012

Appello salva ciclisti

#salvaiciclisti


Gentili direttori del Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport, Il Messaggero, Il Resto del Carlino, il Sole 24 Ore, Tuttosport, La Nazione, Il Mattino, Il Gazzettino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale, Il Secolo XIX, Il Fatto quotidiano, Il Tirreno, Il giornale di Sicilia, La Sicilia, Avvenire.
La scorsa settimana il Times di Londra ha lanciato una campagna a sostegno delle sicurezza dei ciclisti che sta riscuotendo un notevole successo (oltre 20.000 adesioni in soli 5 giorni).
In Gran Bretagna hanno deciso di correre ai ripari e di chiedere un impegno alla politica per far fronte agli oltre 1.275 ciclisti uccisi sulle strade britanniche negli ultimi 10 anni. In 10 anni in Italia sono state 2.556 le vittime su due ruote, più del doppio di quelle del Regno Unito.
Questa è una cifra vergognosa per un paese che più di ogni altro ha storicamente dato allo sviluppo della bicicletta e del ciclismo ed è per questo motivo che chiediamo che anche in Italia vengano adottati gli 8 punti del manifesto del Times:
Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.
I 500 incroci più pericolosi del paese devono essere individuati, ripensati e dotati di semafori preferenziali per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere eventuali ciclisti presenti sul lato.
Dovrà essere condotta un’indagine nazionale per determinare quante persone vanno in bicicletta in Italia e quanti ciclisti vengono uccisi o feriti.
Il 2% del budget dell’ANAS dovrà essere destinato alla creazione di piste ciclabili di nuova generazione.
La formazione di ciclisti e autisti deve essere migliorata e la sicurezza dei ciclisti deve diventare una parte fondamentale dei test di guida.
30 km/h deve essere il limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.
I privati devono essere invitati a sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato dalla Barclays
Ogni città deve nominare un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme.
Cari direttori, il manifesto del Times è stato dettato dal buon senso e da una forte dose di senso civico. È proprio perché queste tematiche non hanno colore politico che chiediamo un contributo da tutti voi affinché anche in Italia il senso civico e il buon senso prendano finalmente il sopravvento.
Vi chiediamo di essere promotori di quel cambiamento di cui il paese ha bisogno e di aiutarci a salvare molte vite umane.
Chiunque volesse contribuire al buon esito di questa campagna può condividere questa lettera attraverso Facebook, attraverso il proprio blog o sito, attraverso Twitter utilizzando l’hashtag #salvaiciclisti e, ovviamente, inviandola via mail ai principali quotidiani italiani.
Tutti gli aderenti all’iniziativa saranno visibili sulla pagina Facebook: salviamo i ciclisti

S.Valentino: se l’estetista è meglio di Cupido...

All’inizio ha fatto resistenza. “Ma va là, vorrai mica che ti dica cosa succede tra queste pareti?”. Eh sì, cara Nina, le ho risposto. Voglio proprio questo. Che tu mi racconti ogni richiesta più stramba che passa dalla cabina dove spelazzi tutte le donne che passano da qui. Ci ha messo un po’ poi, dietro spergiuri che non avrei mai rivelato la sua identità, ha capitolato. Nina non è un’estetista. E’ l’estetista. Quella che quando si sbottona ti fa capire davvero come gira il mondo oggi. Perché il pelo, dice lei, svela di tutto: tendenze, tradimenti, voglie di ripicca, tentativi di riprendersi l’amante perduto. Insomma, a seconda della richiesta di una cliente la Nina riesce a capire (“al volo, eh!”) come se la passa la signora che sta per mettersi nelle sue mani.

Causa bimbi urlanti non ho potuto fermarmi da Nina quelle sei o sette ore che avrei voluto per farmi raccontare tutti ma proprio tutti i dettagli dell’universo donna che passano di lì. Mi sono accontentata delle seguenti chicche da San Valentino.

DONNA 1. “Ciao Nina, tutto bene?”. Dieci secondi di sorrisi per sciogliere il ghiaccio. La cera è calda. “Accomodati pure”, le dice Nina che già ha capito che questa non sarà una cera all’inguine da una mezzoretta e via. Nemmeno a dirlo Donna 1 tira fuori dalla borsa un cuore di plastica rosso.
“Mi ci devi lasciare solo questo pezzo qua”, le dice. Nina sorride sorniona. Eh gà, capito bene. Donna 1 vuole essere depilata ad arte. Nina deve dare di spatola aggirando un cuore di plastica che preserverà quella parte di pelo che sarà il regalo di San Valentino di Donna 1 al suo innamorato. E gira di qua e gira di là, e strappa di qua e strappa di là, sto cuore, dice Nina, l’ha fatta sudare. Il risultato, però, è quello che conta. Sotto gli slip Donna 1 ha quasi un cuore che batte.

DONNA 2. Le cose si complicano. Eh, già. Donna 2 ha un fidanzato un po’ più esigente. Fa l’architetto. Stavolta Nina deve dare di cera con righello alla mano. La richiesta è la seguente: un triangolo con i lati uguali. “Sai Nina - è stata la spiegazione - il mio moroso è uno preciso. E se i lati non sono uguali se ne accorge. A San Valentino poi...”. Chi ha sposato un architetto o giù di lì stia in campana!

UOMO 1. (cosa fate quella faccia strana, anche gli uomini vanno dall’estetista). Entra timido ma convinto. La richiesta ha quasi gelato Nina. Depilazione totale. E quando dico totale, dico totale. Gambe, polpacci eh... Sì. Capito bene. Anche Nina ha pensato la stessa cosa: eh?
Causa scoperta che la ceretta abbatte il coraggio maschio a metà strada la richiesta è cambiata: “Dopo le gambe siamo a posto così”. E già, anche Nina lo ha pensato: “Eh, eh!”.

UOMO 2. “Per favore, signora Nina, faccia miracoli. Mi faccia un manicure che dopo non si veda che mi mangio le unghie. Sa, dà un senso di debolezza far vedere che si mangiano le unghie”. I pensieri di Nina: 1. che gentiluomo, e chi mi chiama più signora Nina? 2. Ma aveva prenotato per un massaggio, che si vergogna? 3. Mangiare le unghie dà un senso di insicurezza? E vedere che l’uomo che ti porta a cena a San Valentino usa lo smalto trasparente, no?

Per fortuna (di Nina) il San Valentino viene una volta all’anno.

domenica 12 febbraio 2012

Gastone babbo pasticcione. 1. LA NANNA

Ognuno ha la sua croce. Io ho Gastone. Dire che me lo sono scelto con il lanternino è riduttivo. Gastone è un prototipo unico non meglio identificato. Di fronte alla necessità di catalogarlo ho scelto di chiamarlo babbo astuto e pasticcione, che con Gastone ci sta pure una crema.
Ha due caratteristiche principali in netta contraddizione l’una con l’altra: ha la capacità di catalogare dati, nozioni, concetti (per non dire tomi!) di un’enciclopedia multimediale senza confini di spazio e la praticità di Mr Bean appena sbarcato sulla terra. Il problema è che le due parti riescono a soccorrersi solo in caso di situazioni disperate. La nanna del Topo biondo è una di queste.

Sabato mattina, ore 7. Mezzo metro di neve. Mancano zucchero, verdure, latte al Topo biondo. La Nanetta vuole giocare con le palle di neve, il Topo ha mangiato e entro un’ora vorrà ridormire, c’è da fare la spesa, da svuotare l’asciugatrice, rifare i letti e altre 100 cose appena. Il cervello di Gastone dà i primi segni di stress da multitasking. Io mi offro di fare 99 cose. A Gastone ne lascio una: far dormire il Topo biondo altrimenti si accolla le altre 99. Affare fatto (ma la faccia non è così convinta). Parto con la prima: spesa. Quindi devo uscire.

Gastone resta solo con la Nanetta e il Topo biondo.

La Nanetta: “Babbo, gli devi cantare la ninna nanna”
Gastone: “La ninna nanna?”
La Nanetta: “Sì babbo, per forza, sennò non si addormenta”
Gastone: “Ma babbo è un po’ stonato”
La Nanetta: “Babbo, devi cantareeeee”
Il Topo biondo inizia a infastidirsi. Obiettivamente Gastone non sa cantare.

Gastone: “Amore, canta tu, sono sicuro che lo farai addormentare”
La Nanetta: “Nooooooooo. Mamma gliela canta sempre. Lo devi fare tu!”
Il Topo biondo è sul nervoso andante. Tra meno di un minuto inizierà a urlare. Entra in scena il lato astuto di Gastone. Prende il computer, cerca la ninna nanna - QUELLA NINNA NANNA  - che mamma canta al Topo biondo. La trova. Dà il via. 2 minuti e 37 secondi dopo il Topo biondo dorme. Ora Gastone ha la mattina in pugno.

sabato 11 febbraio 2012

Dialoghi surreali con l'armadio Nerone

Mamma, esiste la radio dei bambini? E nacque laradiolina

Una radio tutta per bimbi. E' una di quelle idee scoperte su Internet che mi conferma quanti avatar di mamme (in questo  caso anche di zii, zie e papà!) in rete ci siano, capaci di creare e inventare cose di cui accidenti se se ne sentiva il bisogno. E così, cercando su internet qualche notizia in più che riguardasse la musica per bambini, mi sono imbattuta nel sito de laradiolina, un progetto realizzato da due mamme avvocato, una zia avvocato, un papà bancario e un perito informatico (lo zio de laradiolina) che insieme danno vita a una web radio per i piccoli con una programmazione tutta dedicata al mondo dell'infanzia da 0 a 12 anni.
Nemmeno a dirlo, la Nana biondina non si è fatta ripetere due volte l'invito a ballare: "Mamma è per me?". Dalla foto e dalle note ha capito che quella radiolina buffa che si muove tutta e balla sul mio computer è qualcosa di realizzato per lei! E via con musiche dello Zecchino d'oro, filastrocche, barzellette e ninna nanna.
Il progetto nasce dalla semplice domanda rivolta da un giorno da Federico, 5 anni, e Camilla, 2 anni, a mamma Chicca: “C'è una radio con le nostre canzoni?" Mamma Chicca, come è raccontato sul sito, "ne parla con papà Robi. La lampadina si accende. Esiste la radio dedicata alla musica classica, esiste la radio dedicata alla musica jazz, esiste la radio dei tifosi, ma non c'è la radio dei bambini!
L'idea prende forma. Mamma Chicca e papà Robi ne parlano con amici e tecnici del settore, la maggior parte di loro sono genitori che conoscendo le esigenze dei propri figli decidono di partecipare al progetto. E da un'idea sorta per caso nasce: www.laradiolina.it". 

venerdì 10 febbraio 2012

Multitasking: a volte alle donne piace soffrire!

Dunque, se avevo qualche dubbio la ricerca della Michigan State University pubblicata su American Sociological Review me ne ha dato la conferma: a noi donne piace soffrire.
Secondo la ricerca infatti le donne in carriera soggette al multitasking (che non è la capactà di portarsi dietro indumenti pieni di tasche dove riporre quello che non serve girando per casa!) sono a rischio malattia e più stressate dei mariti. Fare troppe cose nello stesso tempo (questo vuol dire multitasking) ne mette a repentaglio il benessere psico fisico. Uno direbbe: vedi, bisogna prendere la vita con più calma! Eppure, sempre secondo la ricerca, questa categoria di donne è più felice delle casalinghe.
Potrei capire se dalla ricerca fosse emerso che le donne che lavorano, hanno mariti ultraservizievoli, una tata h24, i nonni vai e vieni per casa etc siano al top della forma, ma il resto stento a capirlo.
I sintomi della sindrome ‘io mi faccio del male’ ci sono e sono anche parecchi: mai visto al parco una mamma con tacco 12? Io sì e vedo che in giro per la rete se ne discute parecchio. Dunque ho assistito alla seguente scena: dopo averlo posato, il bimbo (eh già, nonostante il terreno impervio del parco dei giardini pubblici di Ravenna la suddetta mamma tacco 12 lo portava anche in braccio), per giunta paffutello, nemmeno a dirlo, ha preso il largo verso lidi più intriganti. La mamma mi ha guardata per qualche secondo pietrificata, con in faccia stampata l’espressione di chi non sa se cadere subito o aspettare che qualcuno si giri dall’altra parte, visto che mezzo parco era rivolto verso di lei pronto a godersi lo spettacolo. Alla fine si è fatta coraggio e con un portamento che ne ha distrutto la femminilità (per non cadere ha dovuto, non chiedetemi perché, piegarsi il più possibile sulle ginocchia chiedendo aiuto a tutto il corpo), è riuscita a raggiungere il pupo che è tornato in braccio alla mamma ed è stato repentinamente portato via. Ho sentito i miei piedi fremere  dall’orgoglio della ciabattina. Ora, ditemi, non avrà sofferto quella mamma in quei secondi di terrore in cui si è vista senza figlio e pronta a precipitare miseramente tra radici, erba e terreno?
Ora, tornando al multitasking, non venitemi a dire: molte donne non possono fare altrimenti. C’è sicuramente una fetta anche consistente di donne che se la deve davvero sbrigare da sola. L’altra fetta agogna le sofferenze. Insomma, se si lavora e si hanno due figli e non si ha nessuno che ci corra in soccorso non è scritto da nessuna parte che i pupi debbano fare lunedì calcetto, martedì musica, mercoledì karate, giovedì inglese e venerdì nuoto. Senza contare le lezioni di danza della sorellina e il catechismo. Chissenefrega se i figli della vicina o della collega di lavoro fanno tutto ciò. O, peggio, se nella vostra città ‘è uso’ fare tutto ciò. “Ah, ma lo fanno tutti!”. Espressione che non capirò mai. Lo fanno tutti dovrebbe bastare per scegliere altro.
La ricerca sostiene che una soluzione per non perire è chiedere aiuto ai mariti. Molti non possono darlo per ragioni lavorative, la maggior parte per questioni di testa: gli uomini non sono formattati per il multitasking.
Tant’è: se vedete che nella giornata di vostro marito il tempo per aiutarvi c’è e manca solo la buona volontà pretendetelo. Se è un buongustaio fate lo sciopero dei fornelli. Dopo due giorni di fame cederà.

mercoledì 8 febbraio 2012

Aveva ragione De André: dalla cacca nascono i fiori!

Dalla cacca nascono fiori. Da un po’ ho trasformato questa frase nella metafora semi seria della mia vita. De André lo disse un po’ meglio, usando un’espressione decisamente più elegante: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
Tant’è: questa frase mi si è appiccicata addosso come il francobollo su una lettera spedita chissà dove, per un viaggio di sola andata, dal quale se ve lo dovessi dire oggi non so proprio né quando né come ritornerò.
Pensavo che questo sarebbe rimasto uno di quei pensieri che avrei conservato per me. Poi, al compimento del 100esimo pannolino, ho deciso che questa metafora di cacca merita di essere condivisa. Il destinatario immaginario di questo post è una qualsiasi mamma confusa che un giorno si trovi per caso a passare di qui. Non ambisce a dare una risposta a un quesito tanto difficile come: “Torno al lavoro, o no?” ma a far sentire meno isolato nel mare dei suoi pensieri un essere umano che fa fatica a trovare un guado che gli permetta di superare il fiume in piena della sua incertezza.
Sarò breve. Quando è nata la Nanetta biondina non ho neanche lontanamente pensato che sarei rimasta a casa. Anzi. Una delle mie preoccupazioni è stata da subito far convivere la mamma e la giornalista sotto lo stesso tetto, gomito a gomito in ogni momento di vita quotidiana. Lavoro, casa,  babysitter, spesa, ma i nonni quando vengono?, e domenica lavoro?, oddio oggi ha la frebbe!. Una corsa contro il tempo con discreti risultati. Mi sono persa molte cose della mia Nanetta consapevole che ne avrei potute perdere molte di più e che il tempo che passavamo insieme era comunque di qualità. Tutto per lei, mica poco!
Poi è arrivata l’occasione di cambiare lavoro per un po’, qualcosa che mi facesse fare orari più umani. Neanche un anno dopo spunta il Nanetto. Per fortuna a volte gli impedimenti hanno il buon gusto di presentarsi nei momenti migliori. La nuova esperienza di lavoro naufraga miseramente quando mancano quattro mesi al parto. Mai visto un guado più facile da attraversare proprio lì, di fronte a me. Fanculo al lavoro, mi sono detta, adesso me ne sto a casa per un po’ e poi si vede. Quel po’ è diventato un altro po’, e ancora un po’, e ancora ancora un altro po’. Come direbbe mia figlia: posso averne un atro pochino? Quando gli impedimenti ci si mettono ci si mettono. Ne arriva un altro: la mia posizione lavorativa sembra proprio non volersi sbloccare. Che dire. L’aspetto economico mi ha impedito di ululare la mia gioia ai quattro venti. Non nascondo anche di aver vissuto a fasi alterne il timore che abituata a scappare di qua e di là fare solo la mamma non mi sarebbe bastato. Eppure stare a casa con i miei bambini ha avuto e ha su di me l’effetto che il lievito ha sulla massa: più cresce più il risultato diventa buono.
Oggi il Nanetto ha quasi sei mesi e la Nanetta tre anni. Non so che cosa farò da grande. Intanto ho attraversato il guado, ribaltando completamente il cliché della donna figa solo se lavora (un cliché che mi ero imposta da sola) e ho scoperto che fare la mamma h24 è una figata pazzesca. Ho scoperto che nella vita le soddisfazioni - quelle VERE - te le danno solo le persone che ami. Tutti gli altri - a prescindere dal tuo livello di intelligenza - possono fare a meno di te. Ho capito che le tue risorse non muoiono tra le pareti di casa, anzi. L’importante è leggersi dentro e capire che cosa serve per fare un tuffo nel fiume, vincere le correnti e arrivare dall’altra parte.
Non so se questa metafora di cacca potrà essere utile a qualcuno. A me è servita. Parecchio.

8.2.2012

martedì 7 febbraio 2012

Bimbo fuori dall'asilo e babysitter troppo costosa: mai pensato a ragazze alla pari?

Il bambino resta fuori dalle graduatorie dell’asilo, una babysitter costa troppo, i nonni magari non possono occuparsi dei nipotini a tempo pieno. C’è chi per uscire dall’impasse ha scelto di lanciarsi nel mondo dell’au pair, ospitando ragazze che vogliono venire in Italia per imparare la lingua. Il costo mensile da affrontare è in media di qualche centinaia di euro (circa 70 euro a settimana) più vitto e alloggio. Un’esperienza che per qualcuno ha significato la svolta per tornare al lavoro.

PROVARE PER CREDERE. Laura è una mamma di tre bambini che già con l’arrivo del secondo si era vista messa all’angolo dalla sua nuova condizione di bismamma. “Per fortuna l’azienda per la quale lavoro aveva accettato di passare il mio contratto a part time - racconta -. All’inizio ho scelto di farmi aiutare da una baby sitter ma dopo poco io e mio marito ci siamo accorti che le uscite erano quasi più delle entrate. Praticamente non valeva neanche la pena lavorare. Nel frattempo stavamo cercando di cambiare casa. Ne abbiamo comperata una abbastanza grande. Una mia amica ci aveva parlato della possibilità di ospitare una ragazza alla pari. Il costo era davvero irrisorio. Così abbiamo deciso di provare. Io mi sono trovata davvero bene. Forse perché sono stata fortunata. L’unico problema è che devi cambiarne più di una perché vengono in Italia per un periodo limitato. Per me è stata una fortuna. Poi è arrivato anche il terzo figlio. Tutto sta a impostare dei turni, lasciandole qualche ora libera al giorno per uscire e fare la sua vita, permettendole di girare, farsi anche degli amici. Senza non so come avrei fatto a tornare al lavoro. Anche mia sorella alla fine ha fatto la mia stessa scelta”.

INCONVENIENTI
. L’altra faccia della medaglia è piena di incognite. Ci sono famiglie che ne cambiano svariate prima di trovarsi bene, ci si deve fidare a lasciare i bambini a una ragazza giovane, cercando di trovarne una predisposta a stare con i piccoli. E, soprattutto, bisogna avere lo spazio per ospitarle e tanta buona volontà per tenersi sempre in casa un estraneo, per quanto simpatico possa essere.

COSTI e TEMPI. Dal momento che la principale occupazione di un au pair è occuparsi dei vostri bambini, ci sono costi e tempi ben precisi sui quali si sviluppa il rapporto del giovane o della giovane con la famiglia che lo ospita. La ‘paghetta’ che riceverà varia da Paese a Paese. In Italia il regolamento prevede: demi pair (15 ore di lavoro a settimana, 1 giorno libero alla settimana, 120 euro al mese) demi pair plus (20 ore di lavoro, 2 giorni liberi interi più tre pomeriggi, 160 euro al  mese), au pair (30 ore di lavoro, 1 giorno libero intero, 2-3 pomeriggi e 3-4 sere libere alla settimana, 240 euro al mese), au pair plus (1 giorno libero intero, 3-4 sere libere, 300 euro al mese).

COME SI TROVANO. Uno dei siti più cliccati per questo tipo di ricerca è www.aupair-world.net, una sorta di punto di incontro virtuale tra domanda e offerta. E’ a questo sito infatti che Laura mi ha raccontato di esseri rivolta. Basta fare un’iscrizione e inserire il proprio profilo famiglia. Altrimenti c’è il sito www.culturcate.it, che fornisce anche un catalogo. Molto interessante è anche il portale europeo per la mobilità professionale (http://ec.europa.eu/eures/home.jsp?lang=it). Ancora più utile è la banca dati messa a disposizione dal coordinamento informagiovani Piemonte che indica numeri di telefono delle principali agenzie e associazioni che si occupano di aupair in Italia. Per vederle cliccate qui.

Nessuno dei soggetti citati in questa pagina ha in alcun modo sponsorizzato questo post.

lunedì 6 febbraio 2012

Prima o poi vado a vivere in campagna. Fuga dalla città e dall'invasione delle Spa

Prima o poi andrò a vivere in campagna. I motivi di questa riflessione sono svariati. Partirò da quelli che una persona assennata dovrebbe raccontarvi: i bambini respirerebbero un’aria migliore, quando avrò del tempo coltiverò il mio orto e se ci avanza prenderò anche un paio di galline, qualche capretta e un paio di oche. Niente di tutto ciò. Andrò a vivere in campagna perché la città moderna si è ingoiata le vasche da bagno. Vi siete mai chiesti perché stanno per entrare a far parte di una specie in via di estinzione? Vi siete mai chiesti perché fremete dalla voglia di passare un pomeriggio sdraiati nella vasca di una Spa?
Io mi sono fatta un’idea. Ovunque, in Tv, sui giornali, su Internet ti sbattono in faccia immagini di donne sdraiate in una vasca da bagno, con i cetrioli sugli occhi e duecentocinquanta candele sul bordo della vasca. Ogni occasione è buona per ricordare che tu non hai una vasca da bagno. All’inizio fai finta di niente. Mentre sei in macchina ad accompagnare i bimbi all’asilo ti becchi il primo poster in 6x3 con donna sensuale col turbante che se la dorme alla faccia tua in una vasca da bagno grande quanto il salone di casa. E vabè, abbozzi un sorriso e vai avanti. A guardarci bene in ogni angolo della città si perpetuerà lo stesso rito, quasi come se qualcuno ti stesse ripetendo all’infinito: “Quanto sei sfigataaaaaa, tu non hai la vasca da bagno!”. Ebbene sì, non ce l’hai! E che cosa fai? Cedi alla tentazione di rifugiarti in una Spa. Un bel giorno non ne puoi proprio tu. Non ti daranno un paio di cetrioli freschi da metterti in faccia ma lo scrosciare dell’acqua nell’idromassaggio ti farà sentire una donna diversa. Peccato che nella Spa proprio quel giorno abbia deciso di venirci anche la tua vicina di casa, quella che esce perennemente col tacco 12. Nemmeno a dirlo, è fresca come una rosa (non ha mica le tue nottate in bianco sulle spalle), ha due ciabattine col tacco all’ultima moda (mica quelle afferrate al supermercato perché le tue sono finite chissà dove nel cambio di stagione!),  ha un bikini che è un amore (mica quella specie di scafandro che ti sei messa perché ancora non ti senti in forma), e, soprattutto, pur essendo pieno inverno non le troveresti un pelo addosso a rivoltarla come un calzino. Che te lo dico a fare: le unghie sono perfette,  i capelli di un colore scintillante, gli occhi rilassati come se con i cetrioli in faccia ci fosse nata.
Non ti resta che ripiegare mesta in un angolo di quella vasca senza pensare alle decine di cose che dividono te da quella stangona ossigenata.
Sulla via del ritorno ti dirai che sì, in fondo ti sei rilassata. Ma ti fai una promessa: “Prima o poi vado a vivere in campagna!”.

sabato 4 febbraio 2012

Mamma, in classe con me c'è una zingara

Mi è capitato che un giorno Ricciolina tornando da scuola mi abbia raccontato che in classe sua c'è una zingara e che i suoi amici le stanno lontano proprio per questo.  Premetto che mia figlia non vive la diversità di qualsiasi forma come qualcosa di negativo, sia essa di colore, cultura  etc. Questo perché voglio che impari a vivere in comunità consapevole che il più delle volte siamo noi genitori a far notare le differenze, cosa di cui secondo me non c'è bisogno. In questo ci sarebbe da imparare tanto dai bambini. Ho notato che in altri Stati non è così, noi italiani viviamo alcuni aspetti della nostra società come dei limiti, con molta ansia. Questa bimba è sempre presente a scuola anche se non va benissimo, ma questo come noi adulti sappiamo è per colpa della cultura a cui appartiene. Io ho semplicemente risposto a Ricciolina che il significato di zingara è che appartiene a una cultura diversa dalla nostra, qual è il loro modo di vivere e che in classe non bisogna isolare nessuno ma bisogna vivere in comunità. Le ho spiegato che questa bimba si chiama Diana e non zingara: ovvio, io genitore non condivido il loro modo di vivere e non porterei mia figlia a casa loro, ma non per questo quella bimba non può fare comunità in classe o non deve poter giocare con altri bimbi. Alla fine non è colpa sua! Ho anche chiesto a Ricciolina: se isolassero te come fanno con lei tu ci rimarresti male vero? Lei mi ha risposto di sì. Dunque le ho detto di ricordarsi che Diana è una bimba come lei che ha bisogno di affetto e di poter vivere la sua età condividendola con gli altri. Io sono rappresentante di classe e andando alle runioni ho appreso dagli insegnanti che nelle scuole pubbliche che frequenta anche mia figlia ci sono molti bimbi di altre culture che sono molto bravi a scuola. Faccio un esempio: questi bambini imparano a scrivere ascoltando i suoni e non sbagliano il ch, i maestri dicono che quelli che sbagliano più frequentemente sono propio i bimbi italiani. Oggi sono contenta di mandare Ricciolina a una scuola elementare pubblica perché credo che i nostri figli debbano vivere in una comunità e non in un ambiente ovattato. Dobbiamo far vivere loro le realtà comuni in modo che imparino a far parte della società senza aver paura di affrontare le cose. Questo aiuta anche me ad affrontare i passaggi della vita  senza pregiudizi e condanne.

Scritto da Sole Ippocampo

venerdì 3 febbraio 2012

L'entusiasmo del peso morto. Incontro ravvicinato con il re degli ignoranti.

Incontro ravvicinato con il re degli ignoranti.

il re: “Crediamo che lei sia quello che fa per noi”
io: “Ottimo. Che orari richiedete? Sa, ho due bimbi piccoli”
il re: “Due bimbi piccoli? Ehm, no, sa...”
io: “Basta mettersi d’accordo”
il re: “No è che di pesi morti in azienda ne abbiamo fin troppi”
io: “Pesi morti, eh? Sono sicura che ha ragione lei”.
Fine della conversazione.

Incontro ravvicinato con il re dei re degli ignoranti.

io: “Bè, sì, sono incinta ma mi sento bene. Mi sono organizzata bene. Credo che vi darò una mano fino a che non mi si romperanno le acque!”
il re dei re: “Credi? Ma sai, non lo so, ma un libero professionista incinta può lavorare?
io: “Certo! Finché vuole. Ci mancherebbe”
il re dei re: “Sai, la tua gravidanza è una bega, non lo nascondo”
io: “Una bega?”
Fine della conversazione e qualche settimana dopo anche della collaborazione.


Mi dicono che al re sia capitato di scivolare su una buccia di banana. Ha sbattuto il muso contro un tavolo. Non si è fatto niente di grave, per fortuna, ma per un attimo, non riuscendo a fermare la caduta, si è sentito - lui sì - alla stregua di un peso morto.
Mi dicono, poi, che il re dei re si sia svegliato una mattina e si sia accorto di avere un coso morto tra le gambe. Il problema è stato passeggero ma in quel frangente ha capito di avere a che fare  - lui sì - con una bega.
Quanto a me: né dopo le suddette conversazioni né tempo dopo mi sono MAI sentita un peso morto. 
Tutt’altro: ho imparato che esiste una condizione dell’animo che si chiama ‘entusiasmo del peso morto’ che invece che far appassire le idee le fa rinascere. Questo blog ne è un esempio.

giovedì 2 febbraio 2012

Regaliamo una bocca a Hello Kitty

Se mi fosse chiesto di sintetizzare chi sono in due parole risponderei così: una che non sopporta Hello Kitty. Da quando mia figlia ha iniziato ad essere in grado di indicare le sue preferenze Hello Kitty è entrata a fare parte in maniera prepotente delle nostre giornate. “Mamma, io adoro Hello Kitty”. E vabè. “Mamma, voglio le mutandine di Hello Kitty, la pasta di Hello Kitty, un libro di Hello Kitty, una borsa di Hello Kitty”. Non va proprio bene ma ci sta. D’altronde ovunque andiamo c’è Hello Kitty, persino nelle stazioni di servizio. A Natale abbiamo superato il confine dell’immaginazione: “Mamma, voglio una Hello Kitty vera. E poi voglio il cervello di Hello Kitty”. E no bimba mia, parliamone. Quando ho provato ad accennare che Hello Kitty è un cartone animato, peraltro senza bocca (!) mi ha guardata malissimo. Mi sono detta: “Ok, accettiamo Hello Kitty ma con moderazione”. Per Natale è arrivata una borsina di Hello Kitty e un librino, tanto più che lasciare Hello Kitty fuori dalla porta sarebbe servito solo a farla diventare un’ossessione.
La gattina senza bocca è stata creata nel ’74 a Tokyo. Quando la sua disegnatrice, Yuko Yamaguchi, nel 2008 è stata intervistata dal Time ha spiegato di averla disegnata senza bocca “per far sì che la gente che la guardi possa progettare i propri sentimenti in lei, visto che ha un viso inespressivo. Kitty sembra felice quando la gente è felice. Sembra triste quando loro sono tristi. Per questa ragione psicologica noi pensiamo che non debba avere un'emozione e così neanche una bocca”.
Preferirei che mia figlia imparasse che le emozioni vanno fatte trasparire prima di tutto dalla faccia. Prima tirerà fuori il suo ghigno e meglio è! Che se ha una bocca deve usarla. A me sembra piuttosto che Hello Kitty rappresenti il desiderio di avere un mondo fatto di gattine imbellettate da fiocchetti ma che non parlano, che quindi non rompono le scatole.
Infine, sperando che la Nanetta si innamori in seguito di personaggi un po’ più ribelli, mi lascio consolare dal fatto che tutto sommato, leggendo i libri di Hello Kitty di mia figlia, ho scoperto che alla gattina piace leggere e ama la musica. Non avrà la bocca ma ha buon gusto.

E' giusto umiliare un bimbo troppo vivace?

 Ricciolina2 va alla scuola materna. Ha la stessa maestra d'asilo che ha avuto sua sorella. La maestra mi è stata e continua ad essermi molto di aiuto perché durante l'anno fa degli incontri con i genitori mostrandoci le cose che il bambino percepisce da noi e come le vive, spiegandoci come renderli sicuri nella società, cosa che mi aiuta a capire dove posso sbagliare. Mi è rimasto impresso quando mi è stato spiegato che quando attorno al bambino ci sono dei pilastri solidi e si collabora con lui, il piccolo vive sereno. Spesso è dura ma si hanno anche tanti buoni risultati. Mi è capitato di vedere scene che non ho condiviso e proprio dopo un colloquio con la maestra durante il quale si era parlato di come comunicare con il proprio bambino: una mamma appena uscita da uno di questi incontri spieava a suo figlio di aver appreso che è vivace a scuola, dicendogli che faceva schifo, che si doveva vergognare per le brutte figure che gli faceva fare e tante altre cose.  Stiamo parlando di un asilo! Non ho saputo resistere: d'istinto mi sono girata a guardarla negli occhi facendole capire che era lei a doversi verognare per il comportamento inadatto dopo altretutto che la maestra ci aveva spiegato come interagire con il bambino senza umiliarlo. Bastava dirgli che non è molto bello come si comporta a scuola e cercare di capire cosa succede nel suo mondo. D'altronde se un genitore aggredisce così un bambino non credo possa riuscire a capire molto di lui.

Scritto da: Sole Ippocampo

mercoledì 1 febbraio 2012

Corsi di cucina per mamme e bambini

Mamma e bambini insieme a un corso di cucina. Perché no? L'iniziativa è proposta dall'Associazione Culturale Piccolo Artista che organizza i corsi di cucina per bambini del Piccolo Cuoco, appuntamenti che fanno parte del Progetto di Educazione Alimentare per genitori e bambini 3-9 anni. L'obiettivo dei corsi di cucina è quello di promuovere l'utilizzo degli ingredienti naturali, freschi, biologici, di stagione e a km 0 nella quotidiana preparazione dei pasti per bambini dopo i 3 anni. L'Associazione Culturale Piccolo Artista quest'anno toccherà ben 20 regioni Italiane con i propri Corsi di Cucina che vedranno coinvolte 20 aziende agricole, 20 cucine professionali, 200 piccoli e grandi cuochi, 2 chef professionali, importanti istituzioni italiane in materia di sanità ed alimentazione, media parter di livello nazionale e una diffusione via tv nazionale e satellitare e canali della Web Tv.

Per questo progetto l'associazione cerca per ogni regione 10 mamme con i loro piccoli cuochi che potranno partecipare gratuitamente ad uno e fino a 4 corsi di cucina. Per ogni regione è possibile accettare solo 10 mamme e piccoli cuochi per i corsi gratuiti e altrettante 10 coppie per i corsi a pagamento. Per partecipare ad uno dei corsi è richiesta l'iscrizione all'associazione, al costo di 10€ euro all'anno ( valido per un adulto e un bambino ). Una settimana prima del corso sarà inviata la mail a tutti gli iscritti, in ordine di pervenute adesioni con la richiesta di confermare formalmente la propria adesione, effettuando il pagamento della somma di 10 euro ( quota associativa mamma e bambino). Il prossimo appuntamento è a Udine il 10 e 11 febbraio. Per guardare tutto il calendario di iniziative clicca qui: in cucina con la mamma.

Se anche il dentifricio ha un sesso!

“Mamma, ma il tavolo è macchietto o feminuccia?”, “e la sedia? E la televisione? E lo stereo? E la cucina?”. Poi è arrivato il fratellino. “Ah, ah, ah, ah. Mamma, ma il fratellino ha il pisellino!  Ah, ah, ah, ah, ah, è buffo!”.  Se il fratellino è entrato nelle sue grazie lo deve anche al suo pisellino.  Infine (ma non siamo di sicuro alla fine) “guarda mamma, il dentifricio sullo spazzolino sembra proprio un pisellino!”.
Dunque, che si fa di fronte a una bimba di tre anni che scopre che il mondo - tutto - è diviso in esseri viventi e non viventi che finiscono con la O ed esseri che finiscono con la A, e che spesso quelli che finiscono con la O hanno qualcosa che quelli che finiscono con la A non hanno? Ci si scherza su e si asseconda il gioco. Poi arriva l’asilo e il mondo si divide in due mondi: i ‘macchietti’ (“fanno solo giochi da macchietti che non mi piacciono, sono tutti celetti e a me il celette non piace, fanno sempre macello e non hanno i codini”), e le femminucce (“a me mi piacciono solo le mie amichette!!!”).
I due mondi fanno la pace al parco quando il bimbo con le macchinine gliene presta una. Sulla strada del ritorno il pisellino sparisce: “Mamma, io adoro le macchinine, mi compri le macchinine? Babbo natale mi porterà le macchinine?”. Ricompare di nuovo quando scopre che i macchietti non la fanno seduti. “Mamma, mi vedi, anche io faccio la pipì in piedi! Come i macchietti!”.
Arriva il momento in cui si cataloga tutti: mamma, papà, zii, nonni...
“Mamma, ma tu sei una femminuccia?”, “Sì”, “e babbo è un macchietto?”, “sì!”, “e il fratellino è un macchietto?”, “sì!”, “e io sono una femminuccia? Come te?”, “sì!”. “Ah. Ma poi da grande divento un macchietto?”. “No, resti una femminuccia”. “Ah”. Silenzio.
“Mamma, ma noi siamo fatti di legno? E il legno è macchietto o feminuccia? E il tavolo è fatto di  vetro? E il vetro è macchietto o femminuccia? ”
Poi arriva la rivelazione che fuga ogni dubbio. “Mamma!”, “eh?”, “Hello Kitty è una femminuccia!”. Eh già, ma questa è tutta un’altra storia.